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Hai affidato a un legale la tua pratica di risarcimento danni per l’incidente automobilistico in cui sei stato coinvolto, lui ti ha assicurato che a pagare il suo onorario sarà l’assicurazione e adesso vorresti sapere se puoi stare davvero tranquillo o se alla fine ti presenterà la parcella? Il credito assicurativo può essere ceduto all’avvocato? E quale differenza c’è tra uno studio associato e uno studio d’infortunistica stradale? Scoprilo assieme a me: io sono Salvatore Anfuso, e di mestiere faccio il patrocinatore stragiudiziale.

 

 

Chi paga le spese stragiudiziali per il sinistro stradale?

Nella gestione della pratica di risarcimento danno da sinistro stradale bisogna distinguere per prima cosa tra la fase stragiudiziale e quella processuale. La prima è una negoziazione bonaria tra il danneggiato (o chi in sua vece) e la Compagnia assicurativa soccombente; la seconda prosegue il litigio in tribunale se la negoziazione preliminare fallisce. 

Oltre a essere preferibile a una lunga ed estenuante lotta giudiziale, la fase stragiudiziale è obbligatoria per legge e non può essere in alcun modo aggirata. In questa fase la Compagnia ha l’obbligo di proporre al danneggiato entro 60 gg. dalla richiesta un’offerta per il suo risarcimento. Questa tempistica scende a 30 gg. in caso di CID doppia firma e sale a 90 gg. nel caso in cui siano coinvolti dei feriti. Se entro tale periodo la Compagnia non propone alcuna offerta né motiva l’impossibilità di farne una, l’IVASS le infliggerà una sanzione amministrativa che può arrivare fino a 60.000 €.

Detto questo, di norma nella gestione stragiudiziale della pratica di risarcimento è la Compagnia assicuratrice soccombente – ovvero l’assicurazione del responsabile civile in caso di procedura ordinaria o la propria in caso di indennizzo diretto  a pagare le spese legali. Tale parcella viene determinata in percentuale rispetto all’intero importo, e ciò rappresenta per il cliente la migliore garanzia che il legale si spenderà con impegno per fargli ottenere tutto ciò che gli spetta. Queste spese la Compagnia le può pagare direttamente all’avvocato oppure omnia nell’assegno di risarcimento. Nel primo caso vengono di fatto emessi due pagamenti: uno per il risarcimento e uno per liquidare le spese legali; nel secondo, il riconoscimento pecuniario della parcella dell’avvocato verrà inserito all’interno di un unico assegno destinato al cliente. Sarà poi quest’ultimo a provvedere a rifondere il professionista della sua parcella.

Di fatto quando l’assicurazione presenta la propria offerta all’automobilista fa un’offerta “omnia”, ossia onnicomprensiva delle spese affrontate per la gestione della pratica, comprensiva quindi dell’onorario dell’avvocato e dell’eventuale compenso del medico legale che ha redatto la perizia sui danni fisici se ci sono stati dei feriti. L’assicurato, se accetta l’offerta, viene così indennizzato di tutte le spese sostenute o che ancora deve sostenere. Il legale tuttavia ha la facoltà di accordarsi con l’assicurazione per l’emissione di due bonifici distinti e separati: il primo al danneggiato (l’indennizzo vero e proprio); il secondo direttamente all’avvocato (il pagamento della parcella). In tale ipotesi, se le parti non hanno concordato ulteriori compensi il legale non potrà pretendere altre somme dall’assistito.

Attenzione: tutto questo vale solo nel caso in cui nella fase stragiudiziale si raggiunga un accordo sul risarcimento. Se invece le parti non si mettono d’accordo, il compenso del legale dovrà essere versato direttamente dal cliente. La differenza tra uno studio associato e uno studio d’infortunistica stradale consiste nel fatto che (normalmente) lo studio di infortunistica non chiede alcun compenso al cliente per la fase stragiudiziale se non riesce a fargli ottenere il suo giusto risarcimento. È verosimile tuttavia, che in una tale ipotesi il danneggiato conferisca mandato all’avvocato di proseguire in giudizio la vertenza con la Compagnia assicurativa, sommando quindi le spese stragiudiziali a quelle processuali. In tal caso, oltre alle spese vive, l’avvocato sarà tenuto a chiedere al cliente di anticipargli tutta o parte della parcella.

 

Si può cedere all’avvocato il credito assicurativo?

Secondo quanto chiarito dalla Corte di Cassazione (ord. n. 29834/18), la norma ex art. 1261 cc stabilisce la nullità di ogni patto con cui il cliente cede al proprio avvocato, incaricato di fare causa all’assicurazione, il credito che vanterà nei confronti della Compagnia. Secondo i giudici non importa che l’accordo di cessione tra cliente e avvocato sia preliminare all’avvio della causa, ovvero quando è stato conferito il mandato – in via stragiudiziale – al recupero del credito nei confronti della compagnia. È invece sempre consentita la cessione del credito all’officina incaricata di riparare il mezzo. E questo perché il meccanico/carrozziere non è compreso tra i soggetti a cui il codice civile vieta la cessione del credito. 

Dal momento della richiesta di risarcimento – che va inviata nel più breve tempo possibile con una raccomandata a/r – l’automobilista vanta un credito nei confronti della compagnia. Questo diritto di credito può essere “ceduto” a terzi. Così, accordandosi con il carrozziere, il danneggiato può farsi riparare la macchina in forma gratuita e senza aspettare i lunghi tempi di risarcimento; in cambio gli cede il credito verso l’assicurazione. In questo caso il riparatore subentra in tutti i diritti dell’automobilista nei confronti dell’assicurazione e potrà anche fare causa a quest’ultima se non dovesse ricevere il pagamento.

 

Le spese legali vengono sempre rimborsate dall’Assicurazione?

Vorrei rispondere di , e il più delle volte è vero, ma purtroppo la norma che regola il rimborso delle spese legali nella fase stragiudiziale da parte della Compagnia assicuratrice soccombente è un po’ ambigua, e qualche volta viene interpretata da quest’ultima in modo da negare tale spesa, che dovrà quindi venire saldata dal cliente. Mi riferisco all’ex art. 9 del d.P.R. 254/2006 e della successiva sentenza di Cassazione (ord. n. 11154/2015) che lo neutralizza ma solo in parte.

Nella pratica l’art. 9 obbliga le Compagnie assicuratrici ad assistere il cliente nella fase di risarcimento. È una buona normativa, motivata dalla volontà da parte del legislatore di garantire la parte debole, ovvero l’assicurato. Tuttavia negli anni questa norma è stata interpretata di modo che, se l’assicurazione ha l’obbligo di assistere l’assicurato, allora non devono venire riconosciuti altri oneri per la consulenza tecnica esterna. La Corte di Cassazione ha riconosciuto l’illegittimità di tale normativa poiché si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, ma al suo posto ha inserito una discriminante imponderabile: quella dell’utilità.

Tutto ciò sta a significare, in termini pratici, che il rimborso delle spese legali nella fase stragiudiziale – che ricordiamo essere obbligatoria per legge – è riconosciuto solo nel caso in cui l’intervento di un consulente esterno si sia rivelato “necessario e giustificato”. Poiché è difficile, se non impossibile, stabilire in termini assoluti se una cosa sia “necessaria e giustificata” – ciò che è necessario e giustificato per me può non esserlo per te, e viceversa – ecco che l’interpretazione di tale norma pone sempre in dubbio il risarcimento della parcella dell’avvocato.

Un’altra differenza tra uno studio associato e uno studio di infortunistica stradale è che (di norma) quest’ultima non è tenuta a chiedere al proprio cliente di pagargli la parcella se questa non è stata rimborsata dall’assicurazione. Uno studio associato invece, per deontologia professionale è sempre costretto a farsi pagare l’onorario, addirittura chiedendo un anticipo sulla parcella. E ciò anche se fallisce il negoziato per concordare una congrua offerta per il danno subito dal suo cliente. Rivolgersi a uno studio d’infortunistica stradale nella fase stragiudiziale dunque è sempre una buona idea.

 

Forse non tutti sanno che in determinate circostanze l’assicurazione non è tenuta a pagare i danni da sinistro stradale, uno di questi riguarda proprio gli incidenti tra parenti. Ma vediamo più in dettaglio in quali casi l’assicurazione non è tenuta a risarcire il danno e quali invece la richiesta di risarcimento è legittima.

 

 

Sinistro tra parenti: l’assicurazione è tenuta a pagare?

 

   Cominciamo subito col dire che per evitare facili frodi assicurative consumate all’interno dell’ambito familiare – tra familiari è infatti più facile mettersi d’accordo che tra estranei – la giurisprudenza italiana stabilisce che i danni avvenuti a seguito di sinistro stradale tra familiari fino al terzo grado di parentela non devono essere risarciti dall’assicurazione, anche nel caso cin cui i coinvolti si siano messi d’accordo sulle rispettive responsabilità. La firma del modulo di constatazione amichevole CAI infatti non cambia la situazione.

A stabilirlo è l’ex art. 129 del Codice delle Assicurazioni Private, comma 2 lettera b, il quale riporta che:

non sono considerati terzi e non hanno diritto ai benefici derivanti dai contratti di assicurazione obbligatoria, limitatamente ai danni alle cose, il coniuge non legalmente separato, il convivente more uxorio, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi del conducente responsabile; nonché gli affiliati e gli altri parenti e affini fino al terzo grado, qualora convivano con l’assicurato o siano a suo carico in quanto costui provvede abitualmente al loro mantenimento.”

Quindi sono sempre esclusi dal risarcimento dei danni materiali:

  • il coniuge (moglie/marito), purché non legalmente separato, e i suoceri;
  • il convivente stabile;
  • gli ascendenti (genitori, nonni e bisnonni);
  • i discendenti (figli e nipoti, intesi come figli dei figli);

 

Sono inoltre esclusi anche:

  • fratelli, nipoti (ossia i figli dei fratelli), generi, nuore, cognati e altre tipologie di nipoti;

ma solo se convivono con il responsabile del sinistro o sono a suo carico.

 

In quali casi invece l’assicurazione è comunque tenuta a risarcire?

 

Quante volte vi sarà capitato di fare retromarcia nel vialetto di casa e di urtare accidentalmente l’auto di vostra moglie, di vostro marito, dei vostri genitori o dei vostri fratelli, figli e nipoti? Probabilmente mai o quasi, ma nel caso in cui dovesse avvenire sappiate che per la giurisprudenza italiana i sinistri avvenuti tra familiari fino al terzo grado di parentela non sono considerati incidenti normali. Infatti in questi casi perché si dovrebbe compilare un CID e far salire il premio assicurativo del responsabile? Ha più buon senso mettersi d’accordo pacificamente provvedendo personalmente a rifondere il danno.

Tuttavia ci sono casi e circostanze in cui la richiesta di risarcimento è legittima. Infatti se si è costretti a pagare un premio assicurativo obbligatorio per essere sempre garantiti contro danni da terzi a seguito di sinistro stradale, è anche giusto aspettarsi che al momento opportuno la Compagnia assicuratrice che incassa il premio rifondi i danni subiti dal veicolo. Se un banale tamponamento tra padre e figlio non obbliga le rispettive assicurazioni a rifondere il danno, i danni causati tra parenti non conviventi e non “a carico” o tra coniugi regolarmente separati devono invece venire risarciti. Ad esempio, se il sinistro coinvolge le auto di due cugini o avvenga tra zia e nipote non “a carico” o a essere danneggiata è l’auto del cognato o del genero non convivente, la Compagnia assicuratrice è tenuta a risarcire i danni materiali del danneggiato come di consueto.

 

I danni fisici vengono sempre risarciti?

 

Quanto detto finora riguarda solo e unicamente i danni materiali, ovvero quelli riportati dai veicoli e dalle cose trasportate. Per le eventuali lesioni fisiche subite dai danneggiati invece, l’assicurazione è sempre tenuta a risarcirli anche nei casi di parentela stretta o di convivenza. Se infatti l’auto intestata alla moglie ma guidata dal marito dovesse uscire di strada per colpa del conducente, la Compagnia assicuratrice è tenuta a risarcire i danni fisici subiti dalla donna in quanto terza trasportata. I quali dovranno essere richiesti alla compagnia del vettore che ha causato il danno, ovvero in questo esempio la stessa compagnia che assicura la vettura della moglie.